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domenica 9 dicembre 2012

C'E' DA FARE LA RIVOLUZIONE

Toccò a tutti il "corso d'aggiornamento". Non senza qualche mal di pancia. "Cos'è sta roba che sta arrivando dagli USA?" ci chiedevamo costernati. E davvero toccherà suonarla? Si, toccò suonarla. Si chiamava House, cinque lettere dopo le quali nell'universo dance niente fu (e suonò) come prima.
Era già successo un decennio e mezzo prima: agli albori dell'era disco. Ricordo perfettamente quella cassa meccanicamente "in quattro" e il pensiero che volava a quel povero batterista (allora umano) che doveva suonare "così". Ricordo lo shock per la durata delle canzoni: lunghissime, quando solo una manciata di anni prima un singolo non poteva tassativamente durare più di 2.45, pena l'esclusione totale dai circuiti mainstream. E tutto in nostro onore: durata e break centrale servivano a noi dj per il mix. Eppure ricordo la diffidenza nell'avere tra le mani i primi twelve inch (da noi disco-mix). Ma quella volta fu piu facile adeguarsi: noi eravamo agli inizi: e semplicemente cominciammo così, proprio con quella roba. Un attimo dopo però fu di nuovo shock per quella specie di motore di motoscafo che era la base di I Feel Love, i primi (riuscitissimi) esperimenti di elettronica da ballare ad opera soprattutto del genio italico di Moroder: bè, una bella botta: alcuni non si adeguarono mai: quelli della "vecchia scuola" detestavano quella roba: io finii con l'impazzire per quel disco. Mio fratello lo detestò profondamente, rifiutandosi di suonarlo al King's. Io invece non mi adeguai mai ad un altro scossone epocale, praticamente contemporaneo alla House: la tecno. Amavo Kevin Saunderson, lo studiavo, lo analizzavo, lo passavo ai raggi x. Ma no, quella non fu mai la mia tazza di tè. E non lo fu per molti altri, che la lasciarono volentieri ai nuovi specializzandi nel genere.
 Da noi no, ma in molti altri paesi del mondo si ballava (e si balla) l'hip hop (anche perchè nacque già imparentatissimo con la disco). E si che fu una legnata, anche quella. Fortuna che da noi le etnie che prediligono quella roba non c'erano e allora chi se ne frega: almeno questo di terremoto ce lo siamo scampato ( ahimè non in radio). Bene: roba vecchia: disco, house, tecno, hip hop. Le grandi rivoluzioni nella storia della musica dance. Dopo cui niente è stato (e ha suonato) come prima.
E adesso? Quant'è che non succede qualcosa? E perchè? E per colpa di chi? La house in tutte le sue declinazioni che (passatemi il termine colorito ma detto da me non vale) fa tanto checca attempata, quella che da noi si chiama commerciale che ormai va benone per i luna-park e i tamarri che li frequentano, la tecno da tempo autoghettizzatasi nella propria riserva indiana fricchettona triste quasi quanto quella del death metal norvegese, e questo è. Punto. Ogni volta che per sbaglio mi riaffaccio nell'universo dance sento solo cose vecchie, già sentite, fritte e rifritte, di una noia bestiale. Poi magari il disco che ti piace, che ti surriscalda, c'è. Ma è bello e vecchio. Nato già passè, ammuffito, incartapecorito. Da troppo, troppissimo tempo.
La dance è vecchia, la house è vecchia, l'hip hop è vecchio e la tecno non ne parliamo. Aspettiamo con ansia un Tom Moulton, un Tod Terry, un Kevin Saunderson che finalmente ci dica: "scusate, da oggi cambia tutto". Speriamo presto. Perchè stando così le cose, io e la mia adorata dance non andiamo più d'accordo.

                                    (pubblicato nel numero di dicembre di  King's Magazine)


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