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mercoledì 23 ottobre 2013

Joele, il macabro promemoria.

Ci voleva questo macabro promemoria, quello di Joele, a ricordarci che mentecatti ignoranti e ottusi che siamo riusciti a diventare. Ignoranti, ottusi e poveri. E tanti saluti allo tsunami di i-phone di grido senza i quali non riusciamo nemmeno più a pulirci il buco del culo dopo le naturali, miserevoli pulsioni.
Poveri al punto da essere un popolo di migranti. E di esserlo stati sempre.
E ci voleva questo macabro promemoria per rinfrescarci la memoria sul fatto che l'emigrazione italiana è un fenomeno in pieno boom. Sia chiaro: mai cessato, mai estinto ma ora, in questo preciso momento storico, di nuovo in pieno boom, con dati che non si registravano da tempo. E con (puntualissima come il mal di pancia dopo la fagiolata) stizzita intolleranza dei mentecatti ignoranti e ottusi che vivono nel resto dell'Europa e del mondo (per fortuna o purtroppo la merda, la feccia non popola solo il bel paese).
Sono serviti gli idioti italioti che soprattutto in occasione degli ultimi accadimenti lampedusani non si sono assolutamente voluti privare della favolosa opportunità di fare sfoggio di imbecillità, di grettezza, di ignoranza, impestando Facebook e i social network di banalità, di luoghi comuni, di stereotipi, di mega-patacche, che sono gli stessi identici che chi si è preso il disturbo di alzare il culo e andare a vedere che aria tira fuori dai nostri confini, e di certo non nei cafonissimi villaggi-vacanze di Sharm, non può non aver visto, letto, captato sulle facce impuzzolite degli inglesi, dei tedeschi, degli svizzeri. Ai quali andiamo "a rubare il lavoro". Con giusto un paio di  piccoli, insignificanti tratti distintivi: che noi non abbiamo bisogno di barconi e ci spostiamo in aereo, e non scappiamo da nessunissima guerra se non quella che si stanno facendo da un paio di decenni due tronconi di una stessa impresentabile, corrottissima e incapacissima classe politico-dirigente, di certo non per affermare i propri credo e le proprie ricette socio-economiche, ma per pararsi il culo dopo aver creato imperi economico-mediatici su presupposti che definire fumosi è un eufemismo, per accaparrarsi mega pensioni, mega stipendi, mega prebende e mega privilegi, per piazzare ganze e affettuoso parentado in ogni possibile e immaginabile posticino di potere, spesso assolutamente inventato ad hoc, ma pur sempre pagato con alluvioni di quattrini tutt'altro che inventati, reali, realissimi. E possibilmente pubblici.
Salvo queste due trascurabili distinzioni (si fa per dire), proprio quello facciamo: andiamo all'estero ad occupare posti di lavoro, ad usufruire di abitazioni, a godere di agevolazioni e bonus in termini sanitari, di disoccupazione, di servizi. In tantissimi, ovunque: Europa, Usa, Australia e ora, fenomeno in grandissima espansione, Asia.
Brutto tirare in ballo quel bel ragazzo italiano ucciso nel Kent per sottolineare di che risma di pagliacci degni del miglior Cecco La Qualunque e del suo cchiu pilu per tutti siamo circondati. Ma ogni post sui 540 euro al mese agli immigrati (ma di cosa cazzo si tratta??), ogni sillaba pronunciata da mezze calzette in disgrazia (alla Calderoli) della nostra politica, ogni articolo di giornali trash diretti da personaggi a cui occhio e croce consiglieresti intanto una visita da uno bravo solo a guardali in faccia, gridano vendetta.
Tutti sappiamo quanti siamo, noi italiani nel mondo. Bene o male lo sappiamo tutti. E per pietà risparmiatemi la tiritera sulla fuga di cervelli, perchè noi agli amici stranieri gli abbiamo gentilmente donato anche un sacco di simpatici buontemponi che più che col cervello ragionano col pisello: intrallazzoni, mafiosetti di terza classe, burini sgrammaticati e strafattoni di ogni ordine e grado, che poi sono ahimè la stragrande maggioranza dei casi, altro che cervelli in fuga. 
Tutti, dicevo, sappiamo che per non incappare un italiano dovresti minimo rifugiarti in qualche grotta sulle alture del Golan, e nemmeno te lo prometto. Ma lasciatemi solo concludere con questo piccolo aneddoto.
Era l'11 luglio 1982. In quel periodo vivevo e lavoravo a Londra  (usufruendo di tutto ciò di cui sopra compreso una visita specialistica con tanto di sottofondo musicale in una clinica da sturbo o una settimana di convalescenza (retribuita) che prevedeva belle passeggiate nei giardini botanici di Kew Garden, toccasana pare per una  bronchite neppure serissima, il tutto pagato deduco dagli operosi sudditi di Sua Maestà, non certo dalla miseria di contributi che avrei potuto aver pagato fino a quel momento).
Quella bella sera d'estate ad un tratto mi ritrovai in una Londra intasata, imbottigliata, in preda al caos più totale, ovunque, in ogni area e in ogni quartiere, da Belgravia a South Kensinton: un immenso carnevale, un manicomio di gente, urla, cortei, strombazzamenti, caroselli, tuffi nelle fontane, canti e balli, per ore e ore, sino all'alba.
Letteralmente stordito chiamai mamma che mi rispose emozionata e esultante: "amore, abbiamo vinto i Mondiali! Non immagini cosa sta succedendo qui!"
No, mamma. non immagini te cosa sta succedendo qui.


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