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domenica 28 giugno 2015

il ghiaccio è rotto..

la prima volta che ho partecipato a un Pride è stato un 28 giugno a Londra (veramente solo a Londra, mai in Italia).
Ricordo che il comitato organizzatore mi spedì alla testa del mega-corteo, perchè per una abominevole legge (age of consent) britannica di allora io potevo dichiararmi gay per la prima volta proprio quell'anno, a quell'età e non prima, per non incappare in guai con la legge (e non stiamo parlando dei primi dell'800, parliamo della londra di George Michael e dei Soft Cell). E perciò fui spedito tra gli "icebreaker". Perchè rompevo il ghiaccio.
Fui solo un pò crucciato all'idea di essere separato dai miei amici, ma alla fine della fiera ritrovarmi da solo in quel bolgione inverecondo rese l'esperienza ancora più adrenalinica. L'impressione che ebbi fu quella di essere coinvolto in qualcosa di grande, di importante: tanta gente, tantissima (e considera che allora al Pride potevano partecipare solo gli uomini, non le donne, e io da bravo supporter di Act Up ero a mia volta un separatista convinto, mentre proprio in quegli anni il dibattito donne si o donne no si stava facendo accesissimo) e uno spiegamento di polizia, in terra e in aria, da lasciare senza fiato. Fui colpito dalle rappresentanze: non credo sia facile comprendere cosa significasse per un giovane gay di provincia trovarsi circondato dalle rappresentanze dei "gay nelle forze armate", "atleti gay di arti marziali", "gay nelle poste britanniche", "gay dell'Eagle Club Harley Davidson"; per fare qualche esempio. L'impatto fu talmente forte da spaventarmi persino un po'.
Ma in realtà si trattò di una fantastica festa. Persino il solito acquazzone inglese in una giornata di sole rese tutto ancora più divertente. Quell'anno l'arrivo era a Hyde Park, non a Trafalgar come oggi, e lì iniziava la serie di concerti, feste, e tutto l'armamentario di contorno tipico dei Pride. A livello di consapevolezza, di autostima, di senso d'appartenenza fu una tale botta i cui effetti mi avrebbero accompagnato per il resto della vita. Importantissima.
Per l'occasione io e un carissimo amico che ora non c'è più, ci tatuammo l'un l'altro, con un pestifero attrezzo rudimentale, questo simbolo. Avevo deciso (da un pezzo, in realtà, ma in modo assoluto e definitivo in quella occasione) che quella parte di me non avrebbe mai più potuto essere occultabile. Dovevo avercelo marchiato sulla pelle. Se non si evincesse già abbastanza conoscendomi, da lì in poi doveva essere insindacabile che potevo essere pure tutte le cose più brutte del mondo, ma che comunque ero io. Ero così. E dovevo essere fiero di quello che ero. Qualsiasi cosa fosse. Se non sei convinto te che sia profondamente giusto, che sia sacralmente giusto essere quello che sei, qualsiasi cosa ciò significhi, come puoi pretendere che lo sia per chiunque altro?
Questo è per spiegare ai soliti imbecilli che hanno sempre da sindacare sui Pride (e i culi, e i perizomi, e bla bla bla: anche io ne vedo tante di schifezze antiestetiche ed esibizioni inopportune, se solo metto piede su una spiaggia pubblica, ma mica chiedo di sgomberare) che di questo si tratta. Solo di questo. E credimi, affatto poco.

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